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DIANA JOPPINI

Diana Joppini, nata a Locarno nel 1961. Vive e lavora a Gordola associando al segretariato la gestione del suo piccolo negozio di oggetti decorativi per la casa.

Da oltre 10 anni, occupa gran parte del tempo libero dedicandosi alla pittura.

L’entusiasmo e la passione che danno corpo alle creazioni espresse su tele bianche sono frutto di emozioni, suoni ed accurate osservazioni della natura.
L’aspetto e la struttura degli oggetti trovati durante viaggi e passeggiate le offrono l’ispirazione per creare forme e tonalità di colori. Rami, sassi, fiori, scritte e soprattutto muri corrosi dal tempo sono i modelli per i suoi quadri astratti.
La curiosità la spinge alla sperimentazione di ogni genere di tecnica e di conseguenza, attraverso linee, collages, superfici, figure e spazi riadattati, il lavoro pittorico le fa pure scoprire un aspetto ludico benefico.

Ama l’acrilico come pure i materiali naturali quali la calce, il catrame, la cenere.
Associa i componenti a pigmenti preferibilmente non sintetici e ad inchiostri. La spontaneità e la reazione dei materiali danno origine a spunti per sperimentare e sviluppare la creatività cosicché, attraverso le numerose stratificazioni Diana realizza i suoi dipinti.

La sua formazione è essenzialmente autodidattica mentre le tecniche sono acquisite
frequentando corsi e workshop in Ticino e accanto ad altri artisti svizzeri.

Le sue tele sono esposte presso il proprio atelier a Gordola oltre che in alcuni spazi pubblici e privati.

Per addentrarci in un’analisi descrittiva del mondo poetico di Diana Joppini in quanto protagonista, nelle sue molteplici combinazioni e nelle sue alchimie procedurali, del fare pittura della nostra che per quanto ci sembra di capire si muove all’interno di un certo informale intendendo con questo termine un tipo di azione a prescindere da qualsiasi intenzione di tipo rappresentativo.

In pratica Diana partendo generalmente da un supporto rigido come una tavola di legno o talvolta da quello elastico della più convenzionale tela, nella maggior parte dei casi stende su di essi una base di grassello di calce, un granulato fine di marmo ridotto in polvere, che va ad accogliere stesure successive di pigmenti colorati i quali interagendo con la base originano dei solchi, delle screpolature fortuite, delle velature molto simili a quelle che si possono scoprire sulle pareti, sui muri delle abitazioni corrose dal tempo e dagli agenti atmosferici.

Una sorta di archeologia del tempo che fu, traslato all’interno di una fare legato al proprio presente nel tentativo di cogliere una corrispondenza stretta tra questo inevitabile logorio e la vita medesima. Un pensiero, una dichiarazione d’intenti, dichiarati dalla stessa autrice quando afferma di trovare un nesso stretto tra la stratificazione graduale della materia e l’esistenza che si compie per successivi passaggi, per sovrapposizioni di esperienze d’ogni genere.

Nel muoversi all’interno di questi magmi fascinosi di materia colorata a cui si aggiungono dei materiali applicati in particolare delle carte nella forma di collage, Diana Joppini dà vita ad un universo in cui l’imprevisto, la casualità, l’incompatibilità medesima delle sostanze impiegate, gli accidenti tecnici non sono da intendere come dei limiti bensì delle risorse a cui la nostra dà seguito nel cercare di sfruttarli al meglio attraverso un affinamento della traccia suggerente un dato sviluppo dell’immagine in divenire in direzione di quel “Può essere” che figura come titolazione della mostra e che ben s’addice al comune tipo di approccio.

Un percorso, quello di Diana, non scontato ma tutto quanto da percorrere con gli strumenti di un mestiere mai appagante ma soprattutto con quell’entusiasmo che esplicita nei termini di un fare convulso in cui si riflettono i moti discontinui dell’esistenza.

Dario Bianchi